Il Seveso esonda. E non è l’unico. Frane, smottamenti, alluvioni sono all’ordine del giorno. E sappiamo che la principale causa è l’impermeabilizzazione del territorio che si ottiene cementificando, possibilmente orizzontalmente con centinaia di villette a schiere e condomini di massimo 4 piani tutto ciò che è edificabile.
Perché così quello che pioveva sul terreno e poi filtrava lentamente, cade adesso sui tetti e viene convogliato nelle reti che, passo dopo passo, arrivano ai fiumi.
E allora la soluzione è creare dei bacini in cui tutta l’acqua in eccesso possa confluire e poi, lentamente defluire. Ed ecco comparire le vasche di laminazione e i canali scolmatori. Una pezza, in tutti i sensi. Ma soprattutto opere che, data la loro dimensione e il loro impatto, scatenano le proteste dei cittadini dei territori interessati.
Opere che tra l’altro costano milioni di euro. Il programma regionale lombardo per il Seveso mi pare che parli di 150/200 milioni.
E allora la domanda sorge spontanea. Ma non converrebbe adottare una politica di interventi puntuali e diffusi di recupero dell’acqua piovana e di pozzi perdenti che permettano di smaltire in loco quella in eccesso?
Quanti di questi interventi si potrebbero finanziare con 150/200 milioni di euro: dai 200 ai 400mila. Non pochi.
Qui le linee guida per la gestione delle acque meteoriche della Provincia Autonoma di Bolzano, che, per chi no lo sapesse, è in Italia.
Copiare spesso è meglio che pensare. Non si sbaglia.