La città metropolitana che non c’è ( e forse non ci sarà)


M  I  L   A  N  O  C  I  T   T  À    M  E  T  R  O  P   O   L  I   T  A  N  A

Ripetete con me, e scandite bene la parola metropolitana.
Perché, anche se tutti la nominano, pare che nessuno la voglia.

Non la desiderano i partiti, che temono di perdere dei posti nei vari parlamentini e soprattutto in enti e partecipate.

Non la chiedono i Milanesi, sempre più votati all’esclusività, e non la vogliono neanche i comuni limitrofi timorosi di perdere autonomia e potere decisionale.

Una opposizione talmente diffusa che c’è chi la usa come spauracchio sicuro di trovare subito terreno fertile nel diffondere timori e preoccupazioni in verità inesistenti.

È di pochi giorni fa la rinnovata minaccia dei fondi immobiliari proprietari di Inter e Milan di andare “fuori Milano” per realizzare il loro stadio-che-lava-i-debiti-del-calcio se il Sindaco e la Giunta non cederanno alle loro richieste.
Sono disposti a spingersi fino a Sesto San Giovanni, San Donato Milanese o addirittura Segrate.
A una distanza siderale dal centro di Milano, da Piazza del Duomo o da via della Spiga.
Apriti cielo.
E molti, Sindaco in testa, a gridare “al lupo, al lupo”.
Sindaco che forse si è scordato di essere anche il Sindaco della Città Metropolitana e quindi, anche di Sesto San Giovanni, San Donato e Segrate.
Compresi 22 consiglieri comunali che hanno approvato una delibera che invita la giunta “a porre in essere tutte le possibili azioni volte a far sì che l’eventuale realizzazione di un nuovo stadio avvenga nell’ambito del territorio di Milano, scongiurando l’ipotesi che i club milanesi scelgano un’altra città dove poter giocare”.
Consiglieri che si sono forse dimenticati, anche loro, di aver appena votato per un Consiglio Metropolitano.

Per loro, a parole, ma solo a parole, lungimiranti esponenti di una futura metropoli internazionale lo stadio oltre le mura, oltre la circonvallazione della 90, è una sciagura da cui non ci risolleveremo mai.

La situazione se non fosse tragica sarebbe degna di un monologo di Crozza.
Dimostra sia la mancanza di una minima prospettiva metropolitana sia l’incapacità dell’amministrazione di esprimere un pensiero proprio, autonomo, originale,in grado di governare le  dinamiche di urbanizzazione delle popolazione mondiale che investirà anche l’area milanese,
Un Sindaco che si spaventa di fronte al “terrorismo mediatico”  di chi si è innervosito perché non può fare e disfare, come ha sempre fatto e disfatto, tutto ciò che voleva, dimostra la  sudditanza al pensiero unico dei privati e l’inesistenza di un progetto di crescita della città  che superi la contingenza o al massimo i cinque anni di mandato.

Se, come si spera, i Milanesi non cadranno nel tranello speculativo di due fondi esteri, questi sì avulsi e lontani dai bisogni della popolazione metropolitana, la possibilità di realizzare un nuovo stadio in uno dei futuri quartieri della metropoli milanese, dovrebbe essere vista come una grande opportunità e non come una disgrazia pa parte di un’amministrazione che sappia perseguire la sostenibilità come “ condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri” ( Enciclopedia Treccani)
Bisogni che sappiamo si manifesteranno ben oltre la cerchia dei Navigli se è vero che il processo di urbanizzazione della popolazione mondiale è ormai inarrestabile.

Perché non superare l’idea, a dire il vero un po’ balzana, di un unico stadio per due squadre, e pensare invece a un progetto di largo respiro che consideri il mantenimento del Meazza per una delle due e la realizzazione di un nuovo impianto per l’altra.


Un progetto diretto dall’amministrazione pubblica che consideri i due interventi come il centro intorno al quale sviluppare una equilibrata rigenerazione urbana e non come la scusa per la consueta speculazione a favore di una finanza immobiliare che avrà le gambe cortissime?

Un progetto che interessi quelle aree che stanno vivendo il degrado della deindustrializzazione e non in quelle utili solo alla speculazione fondiaria.

Una rinascita che superare anche la logica dei distretti mono funzionali distribuendo, su tutto il territorio metropolitano, funzioni, attività, socialità tra loro diverse  

Ma sarà possibile solo se torneremo a ragionare su larga scala, credendo in un pubblico battistrada delle trasformazioni di una comunità e non il cane da riporto dei cacciatori finanziari.

Sarà possibile se supereremo il mito dell’isola felice ed esclusiva, che si disinteressa del territorio che la circonda, considerandolo solo il bacino della forza lavoro di cui rifornirsi di giorno per poi espellerla di notte.
Milano è cresciuta grazie a quello che un tempo si chiamava hinterland produttivo, quel distretto industriale che beneficiava dei servizi e del terziario del capoluogo, ma di cui ne era primaria fonte di energia.
All’attuale processo di  gentrificazione di ogni quartiere entro i confini comunale  corrisponde un impoverimento dei comuni della defunta Provincia, sempre più destinati a dormitori che rischia di fare di Milano uno degli emblemi della “Società Signorile di Massa” che beneficia di una “vasta struttura paraschiavistica”  (Luca Ricolfi ).
Nell’epoca della deindustrializzazione non possiamo rispondere con il disinteresse e il degrado.

Per evitarlo è necessario pensare oltre i vecchi confini comunali e rivitalizzare le aree dimenticate grazie a un processo di integrazione delle funzioni, delle attività, delle destinazioni d’uso con una interdipendenza che garantisca anche la molteplicità sociale.
Temere la realizzazione di uno stadio fuori porta dimostra una miopia che la Milano del futuro non si merita.
Facciamo nostra questa proposta.
Faremo il bene della città metropolitana e smaschereremo il gioco delle società finanziarie che non hanno bisogno di uno stadio ma di un terreno su cui riappianare dei bilanci in rosso.