“Architetto, se abbiamo 1.000, dico mille metri quadri di Superficie Lorda edificabile, lei me ne devi tirare fuori almeno 1.800, dico m i l l e o t t o c e n t o di superficie commerciale” È questa la nuova frontiera dell’urbanistica. Dopo quella contrattata, tragicamente attiva, in cui non valgono le regole ma gli accordi, tra un ricco privato solvibile e un pubblico alla ricerca del facile consenso, siamo arrivati a quella dei servizi. Mentre ecologisti, ambientalisti, difensori del bene comune si accapigliano sugli indici fondiari e cantano vittoria a ogni diminuzione percentuale delle possibilità edificatorie, il mercato è già molto avanti. Come sempre ha trovato la scappatoia. Dal piccolo intervento alla più grande trasformazione ci sono un sacco di metri quadri che sono finti, che non valgono, trasparenti al calcolo ma commerciali, commercializzabili e soprattutto assolutamente esistenti. Non è vero che il consumo di suolo lo fa tutto ciò che fa ombra. Dopo l’Uomo senza Ombra ci sono i Palazzi che Non Ci Sono, che non contano, che non esistono sui file di excel della nuova urbanistica. Il Pgt di Milano ne ha fatto un catalogo https://www.pgt.comune.milano.it/sites/default/files/allegati/02PS_NIL_Elenco_Servizi_Tabella_0.pdf in cui ci sono Università, biblioteche private, scuole private, associazioni, teatri. Non solo quelli già edificati ma anche quelli di nuova costruzione. Interi palazzi, isolati, quartieri fuori indice. Massimo, medio, minimo. Urbanisticamente inesistenti. Ma lo sono anche una miriade di micro spazi che, sommati, fanno un totale consistente. Ingressi, palestre e locali condominiali in genere, i corridoi degli alberghi, le logge, i box e posti auto e così via Sono questi i metri quadrati che mi ha chiesto il mio cliente. Questi quelli che devo garantire alla voracità immobiliare. Ed ecco che la “tipologia edilizia” su cui dibattono, con solennità e competenza, gli architetti, si trasforma in una mera questione di calcolo finanziario. L’architetto non è più un progettista ma un traduttore in linee, cerchi e quadrati di quello che è deciso in cifre. Un dato di fatto di cui penso si debba essere coscienti quando si parla di consumo di suolo, di cementificazione, di sviluppo immobiliare. Rendersi conto che gli indici fondiari sono ormai uno specchietto per le allodole che non si accorgono di cosa avvenga alle loro spalle. Non è necessario essere degli indovini, delle Cassandre del mattone , per ipotizzare che i Fondi Immobiliari promotori del “progetto San Siro” abbiano accettato di passare dallo 0,71 allo 0,35 sapendo benissimo che quello che era uscito dalla porta rientrerà dalla finestra. Un esempio che possiamo riproporre per moltissime pianificazioni concordate milanesi. Ma tutto ciò, la stessa storia dell’evoluzione dei criteri di pianificazione territoriale e urbanistica, ci porta a un’altra riflessione. Siamo sicuri che il problema sia quantitativo? Che con l’azzeramento degli indici, che con la battaglia dei mq, si risolvano i problemi ambientali e sociali, in un’unica parola , quelli ecologici? Secondo me no. Perché non è importante ( solo ) quanto costruiamo, ma dove, cosa, per chi e come. Queste sono le vere domande che ci dobbiamo porre. In primis quella che ci indichi i destinatari del nostro costruire, i beneficiari ( o danneggiati) e quindi la necessità di quella o questa nuova edificazione. Dobbiamo, a mio parere, invertire la prospettiva e passare da quantitativo al qualitativo. Dal finanziario al necessario. Dal sempre al contigente, pensando a cosa mi serve in ogni momento della mia vita. Dal diritto alla casa al Servizio Abitativo. Dal possesso all’uso. Il tutto in una prospettiva di riduzione dei comuni e di ottimizzazione reale delle risorse. E questo non può essere fatto con i divieti, che il mercato sa benissimo come aggirare e come far diventare opportunità. Lo si fa grazie a un Pubblico che interviene direttamente, che entra in campo e torna ad essere un operatore trainante. Il guidatore, non il vigile. |
I palazzi che non fanno ombra
