L’acqua ci affascina, non c’è che dire. Fin da quando siamo piccoli, una pozza, una piscina, un rigagnolo ci attirano e ci incantano. Le città d’acqua hanno una magia che nessun’altra metropoli riesce ad avere. Milano, il lago, il fiume, e tantomeno il mare non li ha aveva. Se li è costruiti, ma, nella più pragmatica tradizione meneghina, persa la loro funzione, li ha abbandonati al loro destino.

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Una città è il risultato della somma di un continuo di interventi, per la maggior parte “minori” e di piccola entità.

L’architettura di una città, per dirla con Brunelleschi ” è un arte collettiva , non prodotta da pochi intellettuali o specialisti ma dall’attività spontanea e ininterrotta di un intero popolo”.

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Per il premio Nobel Paul Samuelson i beni comuni sono caratterizzati da due tratti: a) il principio della non rivalità: l’utilizzo del bene da parte di una persona non diminuisce le possibilità d’utilizzo da parte di un’altra persona; b) il principio di non esclusività: nessuna persona e nessuna comunità può essere esclusa dal loro utilizzo.


Il Seveso esonda. E non è l’unico. Frane, smottamenti, alluvioni sono all’ordine del giorno. E sappiamo che la principale causa è l’impermeabilizzazione del territorio che si ottiene cementificando, possibilmente orizzontalmente con centinaia di villette a schiere e condomini di massimo 4 piani tutto ciò che è edificabile.

Perché così quello che pioveva sul terreno e poi filtrava lentamente, cade adesso sui tetti e viene convogliato nelle reti che, passo dopo passo, arrivano ai fiumi.


Affrontare il giorno nuovo, con l’obiettivo di scoprire la città; non la ricerca di una brandello della città storica celato alla vista, ma di una parte in divenire che dovrebbe rappresentare il prossimo cuore pulsante di quella che si preannuncia come la Milano del futuro, ormai prossimo.