È inutile negarlo, a Milano tutto avviene in anticipo.
Dopo anni di concorsi di architettura che spesso hanno partorito il topolino, con opere non realizzate o realizzate dopo tempi biblici, l’amministrazione meneghina intuisce che è necessario battere strade nuove e provare ad impostare un nuovo rapporto con i progettisti.Non deve più chieder loro di partecipare a dei concorsi assolutamente energivori di tempo, denaro e risorse con la possibilità di vittoria pari a quella della lotteria di capodanno ma può coinvolgere il mondo della progettazione in un programma di sviluppo e miglioramento della città che benefici delle idee di tutti.
Al sistema concorsuale, che richiede una massa di energie progettuali su un solo tema si sostituisce l’opportunità di applicare queste energie su tutto il territorio della città metropolitana in una infinità di interventi.Ecco che quindi Milano si inventa un sistema snello, veloce, non impegnativo ma che potrebbe permettere a molti professionisti di lasciare un segno, di veder realizzata una loro idea senza la complessa procedura dei concorsi, su cui io ho personalmente manifestato spesso molti dubbi e perplessità.
Tempo perso per tempo perso è molto meglio dedicarsi a progettare qualcosa che probabilmente verrà realizzato, con la conseguente visibilità e pubblicità, rispetto alla quasi certezza di vedere il proprio lavoro sfilare in fondo alla classifica di una “mission impossible”Superate le prime perplessità sulla gratuità della richiesta mi sono convinto che, soprattutto per i giovani architetti e ingegneri, questa potesse essere una strada da percorrere e promuovere con decisione. Un meccanismo in grado di far convivere le esigenze di rinnovamento con le poche risorse a disposizione della amministrazione ma anche la volontà di partecipazione con l’esigenza di trovare soddisfazione nel veder realizzato il proprio lavoro.
Ma soprattutto un atteggiamento di vera disponibilità sociale, di condivisione della propria conoscenza, di altruismo etico da parte di chi è comunque culturalmente privilegiato.
Ho quindi giudicato molto positivamente la “Call for Ideas” lanciata il sette novembre dall’Assessore all’Urbanistica del Comune di Milano.
Una chiamata alle armi per i progettisti invitati a dare le loro idee all’amministrazione Milanese, per la soluzione di alcuni nodi urbanistici di chiara rilevanza.
Non i soliti concorsoni al buio ma un processo trasparente di acquisizione delle idee che vede comunque l’amministrazione centrale e decisionista ma solo dopo aver raccolto più informazioni e pareri possibili da tutti i livelli della società civile.
Quelle idee, frutto dell’ingegno umano, che io aspirerei fossero sempre di pubblico dominio, prive di licenze e diritti riservati, in una logica di condivisione collettiva del sapere esente dagli interessi economici e dalle avidità dei singoli.
E quindi torniamo a Milano dove il venti dello stesso mese viene messa in linea la pagina con la descrizione ”dettagliata” dei desiderata del nostro Assessore all’urbanistica. Si va dalla progettazione di piazze, alla definizione del ridisegno di alcuni nodi di interscambio fino alle proposte per il riutilizzo di alcune decine (forse centinaia) di edifici dismessi.
In una “Tavola, in formato A1 stampabile, orientata in verticale (max 10MB), con abstract della proposta (max 1.000 battute), schemi planimetrici del concept, render, eventuali piante, schizzi, diagrammi o altri elementi utili alla rappresentazione della proposta. In alternativa alla Tavola è possibile presentare Video” i progettisti dovranno presentare le loro idee utili a risolvere problemi di non facile ma complessa e difficile soluzione.
Nodi di Interscambio, Grandi Funzioni Urbane e Piazze sono definite puntualmente mentre per gli immobili e le aree dismesse abbiamo una piantina con una miriade di pallini. http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/servizi/territorio/revisionepgt/pgt_milano2030_call. Sempre convinto della validità del processo incomincio ad approfondire ma più approfondisco più mi deprimo e mi rendo conto che non è tutto oro quello che luccica. Anzi ho sempre di più la sensazione di trovarmi di fronte alla solita bufala del politico furbetto.
Incominciamo dall’inglesismo nel titolo, un’esterofilia inutile se non per impressionare chi si fa ancora impressionare da simili espedienti, per passare al richiamo alle procedure utilizzate per la definizione del futuro degli Scali Ferroviari. Questa similitudine con un processo decisionale assolutamente preconfezionato, a misura e consumo del “proprietario” dei lotti, fintamente ambientale ma soprattutto assolutamente lontano dalle richieste dei cittadini, è un fastidiosissimo campanello d’allarme.
Una percorso recitato dai soliti attori, immobiliaristi, politici, progettisti che dominano da anni la scena milanese. Stessi nomi, stesse copione, stessi risultati.
Il richiamo al passato quindi non è dei più entusiasmanti. Ma cerco di mantenermi positivo e proseguo il cammino. Riferimento di base per le proposte è il nuovo PGT. Il PGT appena approvato dalla Giunta ma non ancora andato in consiglio e quindi ancora lontano dalla sua attuazione. Ma anche su questo aspetto sorvolo e do per scontato che il PGT non subirà modifiche sostanziali e quindi l’ostacolo è superato. Incomincio a studiare la proposta e vedo che i nodi, le funzioni urbane, le piazze sono quelli sui cui si dibatte da anni, su cui le soluzioni proposte sono state più di una e le incertezze moltissime.Progetti quindi complessi che richiedono un impegno notevole, un approfondimento non improvvisato, uno studio attento delle idee, che per quanto abbozzate dovrebbero essere intelligenti.
E io alcune idee le ho, così come ho in mente i consulenti da coinvolgere e le risorse da mettere in campo. Mi faccio anche un programma dei tempi necessari. E vado a vedere la scadenza di consegna. Il 20 dicembre. Cioè un mese. La possibilità di consegnare i progetti, via internet dal 30 novembre al 20 dicembre 2018. A gennaio 2019 grande mostra. In Triennale e a casa tutti contenti. Un mese, anzi meno di un mese. Un tempo assolutamente insignificante. E allora capisci che è tutto già pronto.
Pensi male, è vero, ma non puoi non farti venire il dubbio che ci sia chi sa di questa iniziativa da tempo. Chi, anche in buonissima fede, ha i progetti pronti nel cassetto. Ma c’è bisogno comunque di un momento di partecipazione che faccia sembrare le proposte come l’effetto di un processo collettivo a cui tutti hanno partecipato. La politica ha bisogno della sua liturgia, della sua sceneggiatura, del primo e secondo tempo anche se l’assassino è noto prima di accedere in sala.
E allora mi viene in mente Patricia Viel a cui forse sfugge, sulle ali dell’entusiasmo, l’esigenza di segretezza e manda ai giornali il suo progetto per Piazza Loreto. Un bel progetto immobiliare, con superfici commerciali a gogo, che guarda caso, interessa proprio una delle piazze indicate nella “Call for Allocchi”.
Il tutto con il beneplacido dell’inutile (quando non dannoso) Ordine degli Architetti, ormai assolutamente in linea con le procedure delle nostre Amministrazioni, senza la dovuta attenzione agli interessi dei cittadini e della trasparenza di cui dovrebbe essere garante. Quella trasparenza che continuo a pensare sia l’elemento fondante di una gestione democratica del bene comune, che alle volte mi illudo di trovare. Poi mi sveglio e vengo subito richiamato alla realtà del torbido mondo della gestione della cosa pubblica. E me ne dispiaccio. Perché la proposta iniziale era ed è sicuramente interessante. Si tratta di un tentativo di cambiamento e di paradigma che, secondo me, va assolutamente perseguito.
Ma in acque limpide.
Pubblicato su
https://estremeconseguenze.it/
8 dicembre 2018